#concrete

concrete: mappare l’intorno di Nina sull’argine

(intorno: in analisi matematica e in topologia, un insieme è detto intorno di un punto se contiene un insieme aperto contenente il punto)

1.

«Per strada però la nebbia, invece di diradarsi, sembra addensarsi in agglomerati collosi, e Caterina comincia a perdere i punti di riferimento. Cerca i cartelli pubblicitari, le insegne delle fabbriche, i camini della centrale idroelettrica. Si aggrappa al treno che appare e scompare fra le ondate di nebbia, nella campagna. […] Nulla, fuori dall’abitacolo non c’è nulla. La nebbia ha cancellato ogni riferimento, e lei ripassa il paesaggio per come lo ha imparato fino a quel momento. L’ultima galleria prima di arrivare, che si riconosce perché è la sola in discesa, e poi subito fuori, immagina la porzione di lago color del piombo, il quadrilatero del castello, le forme panciute delle torri d’angolo. Le rimane solo la striscia bianca al lato della carreggiata, che segue attenta, […] mentre la strada scorre lenta, e le mani cominciano a sudarle. La nebbia fa questo effetto, quando è troppa. Si trasforma in dubbio, e dentro il dubbio lo spazio diventa circolare, senza uscita.»

[in foto: ingresso di cantiere, Scrivia 2006]

2.

«Chi di voi ha letto Cent’anni di solitudine?, aveva chiesto il professore di Idraulica fluviale il primo giorno di lezione. Caterina aveva alzato la mano, unica in tutta l’aula, emozionata nel trovare un punto di contatto che non fossero le equazioni di Navier-Stokes o il diagramma di Moody. Lei che lo ha letto, aveva detto il professore, mi dica: di che forma sono le pietre del fiume di Macondo? Caterina era rimasta in silenzio, pentita di aver alzato la mano. A forma di uova di dinosauro, così sono le pietre del fiume di Macondo, aveva detto il professore. Caterina aveva fatto sì con la testa, facendo finta di ricordare, ma il professore non le badava già più. Si era girato verso la lavagna, aveva tracciato i tre assi cartesiani. Bene, in questo corso dimostreremo che non è possibile: nessun fiume modella le sue pietre a forma di uovo di dinosauro. I sassi di fiume sono ellissoidi perfetti.»

[in foto: fiume Vara, ottobre 2020]

3.

«Al suo arrivo, i carpentieri si sono voltati un attimo verso di lei e poi hanno ripreso a lavorare senza salutarla, ma a questo è abituata. Sono stranieri, silenziosi per carattere, e in più c’è la barriera linguistica. No, non è vero. È perché è una donna. Ma non le importa, sono bravissimi, e così Caterina si limita a osservarli lavorare. Da quando sono arrivati, l’elevazione delle pile del ponte procede spedita. Sono in quattro. Il più anziano, sui quarant’anni e con le mani larghe, dà le direttive con gesti precisi. Il più giovane, un fazzoletto in capo come fosse un pirata, la fissa sempre una frazione di secondo in più degli altri. Si muovono nella fossa delle fondamenta con movimenti esatti, come certe macchine laser per tagliare la lamiera.

La settimana prima tracciavano i fili, disegnavano l’ombra delle fondazioni, per preparare il getto.

Ma chi sono questi?, aveva chiesto a Bernini.»

[in foto: Hall del Museo d’Orsay, Parigi, 2006]

4.

«Entrano nel primo bar che incontrano. Non è molto grande, e nonostante sia ancora giorno il locale è semibuio, illuminato solo da due faretti viola che saettano dai lati del soffitto.

Un Bloody Mary, dice Caterina ancora prima di sedersi, mentre Bernini chiede una spina media. Arrivano le ordinazioni.

Adoro il Bloody Mary. Non tutti lo sanno fare, non credere. L’equilibrio con il tabasco, ma anche con il succo di pomodoro, non è facile. Vuoi assaggiare?

Bernini la guarda. La birra ancora ferma sul cartoncino, davanti a sé.

Cosa c’è dentro?

Te l’ho detto. Succo di pomodoro, pepe, tabasco. Poi, dipende. Alcuni mettono la Worcester, anche se io non la amo.

Di alcol. Cosa c’è?

Vodka. Una parte di vodka, due di succo di pomodoro. Non ti piace la vodka?»

[in foto: cinema multisala, Valencia, 2008]

5.
«Ci sono molti modi per combattere la pendenza, quello squilibrio che ci portiamo dentro, incastrati fra le cose da fare, nel tentativo di accontentare tutti. C’è chi si afferra a una cartellina con sopra scritta la norma, chi si reinventa capocantiere in pensione, chi fa finta di non vedere le ombre. Ma c’è poco da fare, quando il terreno comincia a cedere si finisce per pendere da una parte. L’unica soluzione è arrendersi, affondare anche con l’altro piede, e pazienza se ci avevano assicurato che la terra su cui camminavamo era fatta per sopportare quattrocento chili. Questo pensa Caterina, spostando il peso da una gamba all’altra, a verificare il suo, di personale assetto.»

6.
«Esce dalla libreria e si avvia verso casa, come stordita. È delusa, anche se non capisce bene per cosa. È forse per i capelli, per quella stempiatura che non ricordava. O per quella dissimetria nel movimento della bocca, che non le è mai piaciuta, e ora le è apparsa così evidente. Forse è per tutto l’insieme, o forse è per quella sua mania di precisione, per il suo desiderio di mettere sempre tutto in ordine, ricomporre i pezzi anche quando non stanno insieme, come la cartellina che ha sul tavolo, con dentro un contenuto e un Brava scritto sopra, incongruo. Un tempo in levare, anche quando sarebbe il momento di battere. Forse il suo posto è là, nel tempo a levare, in quel tempo inesistente del tragitto fra casa e cantiere, in quello spazio diffuso di quei chilometri che la portano da un modo all’altro.»

7.
«La signora Bola va verso il tavolo di marmo, ingombro di oggetti. Fiori secchi in vasetti di peltro, frutti di marmo su un’alzatina, centrini di fogge diverse. Un portafotografie scintilla d’argento, con dentro l’ombra di un uomo, una donna piccola accanto. Caterina rabbrividisce.
C’è freddo in questa casa, un odore umido come di tetro. Si volta verso il camino, spento, si stringe nel giaccone, mentre la donna scopre un piattino già pronto sul tavolo, coperto da un tovagliolo. Sotto, dei tortelli dolci, ripieni di marmellata.»