L’altro giorno ero a un corso di aggiornamento per il lavoro. Non mi piace andare ai corsi di aggiornamento per il lavoro, difficilmente ci sono argomenti che mi interessano veramente, in genere non conosco nessuno e mi sento un’aliena. Ma tant’è. Esistono. Bisogna andarci. Insomma quindi arrivo a questo corso, è pomeriggio, mi sento a disagio, ho già sbagliato parcheggio e mi sono piazzata davanti a un edificio che non c’entra niente, molto più avanti – chiaro segno di esclusione, tutto è chiaro segno di esclusione in questi momenti – entro e mi siedo. Le poltroncine sono scomode, strette, o forse sono io che mi sono allargata -ancora-meglio non pensarci e sopportare. Sono solo quattro ore. Quattro ore ed è finita, me ne vado a casa.
Come sempre ho dietro di tutto, la mia personale coperta di Linus quantomeno, la borsa di tela con dentro il quaderno con la storia che sto scrivendo, un quadernino per gli appunti volanti -ma di appunti prima o poi parlerò-la mia penna preferita, bic, bic, l’unica penna che posso usare. Della mia coperta non tiro fuori niente di solito, si limita a seguirmi, secondo quel principio che la prima volta che mi serve non ce l’ho e allora poi addio idee, che poi a pensarci bene allora sarebbe meglio andare in giro senza niente, così le idee arrivano e poi si appuntano dove capita, e amen. Comunque. Come sempre ho dietro tutto, il relatore comincia a parlare, devo dire è bravo, parla bene, e io a uno che parla bene perdono tutto. Anche di raccontare di cose di cui non mi interessa per niente.
A un certo punto, dietro di me, comincia un tic tac frenetico, mi volto, c’è uno che velocissimo fa entra e esci con la punta della penna, tic tac tic tac tic tac tic tac, mi volto una seconda volta, tic tac tic tac tic tac, quasi non si sente più il relatore parlare, tic tac tic tac, mi volto ancora, e con me altre due tre cinque persone, ma lui non demorde, guarda fisso davanti a sé e intanto prosegue tic tac tic tac tic tac. Forse anche lui non voleva venire oggi, ma io così impazzisco tic tac tic tac tic tac ora mi alzo e lo meno tic tac tic tac tic tac niente mi sta per partire un attacco d’ansia. Devo stare calma.
Mi volto dritta davanti a me. Nessuno gli dice niente. Non è possibile farlo smettere. Mi devo rassegnare. Mi abbasso verso la borsa di tela ai miei piedi, tiro fuori il quaderno. Un uomo che fa così tanto tic tac è sicuramente un uomo cattivo, penso.
E scrivo. Persona che ossessivamente la penna con il pollice tic tac tic tac.
Poi mi aggancio ad altri appunti
cattivo
uomo che lancia i gatti
si riconosce dal tic tac
è nero, è magro, è curvo, non gli si riconosce la faccia, naso adunco
e così finalmente trovo uno dei personaggi che mi mancavano per una storia. A un corso di aggiornamento. Per colpa di un tic tac.