In questi giorni sto leggendo questo libro. Mindscapes -Psiche nel paesaggio, Cortina Editore. Non so bene come l’ho trovato, forse in uno dei miei giri su amazon, fra i libri consigliati dopo una determinata ricerca. Ho cominciato a leggere, credo di capirne non più del cinquanta per cento, ma non importa.
È una cosa che mi capita spesso, di capire ma non del tutto quello che sto leggendo, ma non è una cosa che mi disturba. Del resto, sono soggetta a fittoni fortissimi. Quando ho avuto quello per la musica classica, e ho letto volumi su volumi di storia della musica e di critica della musica, senza avere formazione, suonare una nota e capire una sola riga del pentagramma, è stato lo stesso, e così quando mi sono studiata le guerra jugoslave, la critica sull’Antologia di Spoon River da testi americani e anche un po’ scogniti, la critica su Gadda senza avere peraltro letto una riga di Gadda o quasi. Va così. A fittoni.
Poi io al fatto di non capire, in maniera sistematica e strutturale, come parte fondamentale del leggere un testo, ci credo abbastanza. Anche per la narrativa, ci sono cose che ho letto che sono sicura di non avere capito per niente, o di averne capito solo una parte, e poi chissà che cosa. Eppure mi piacciono moltissimo. La stiva e l’abisso di Michele Mari, letto dopo aver trovato una recensione su L’indice cartaceo millemila anni fa, per dire… cosa ho capito? Boh, forse niente, eppure mi è piaciuto moltissimo. Come anche Il maestro e Margherita, con il quale ho passato un paio di notti di delirio in una casa piccolissima (e con il soffitto bassissimo) dove vivevo a Genova. Sì, mi piace non capire quello che leggo, mi piace leggere cose che non capisco. Un amico qualche giorno fa mi raccontava di un conoscente suo che è dislessico, e quindi leggendo e meditando su romanzi e poesie prende una cosa per un’altra, creando a volte non sense o vuoti di senso che poi invece assumono un senso. Solo che è diverso.
In ogni caso, ho cominciato a leggere Mindscapes -Psiche nel paesaggio. Per il paesaggio, per il mondo che ci circonda, ho una discreta ossessione. Quello che vediamo fuori da una finestra, o nel tragitto per andare al lavoro, come poi viene riversato nei romanzi, o nei racconti. Ho una certa allergia per un certo tipo di plastificazione dei luoghi, che poi diventa plastificazione dei pensieri che ci girano attorno. E così Livorno diventa la Terrazza Mascagni, e i pensieri sulla città tutti legati ai tramonti (impressionanti, a dire il vero) che la avvolgono.
Un posto meraviglioso, con colori meravigliosi, che produce commenti meravigliosi e tutti meravigliosamente uguali. E a me viene il prurito. Forse, mi dicevo l’altro giorno parlandone con un amico, questa cosa è legata al paesaggio della mia infanzia, che con i tramonti della Terrazza Mascagni ha poco a che spartire. Uno è un cortile, un grande cortile chiuso da palazzi a Siracusa. La zona è Santa Panagia, quartiere popolare periferia nord della città, dove Nzina (sempre lei, sorella di mia nonna) viveva in una casa popolare. Non ho foto di quel cortile, non riesco a trovarne in rete (immagino non sia propriamente un luogo turistico). Con google maps si trova solo l’immagine di una dei sottopassi per arrivarci, che dovevi passare per andare da casa all’alimentari, sulla strada parallela. E a guardarla mi è tornata la paura.
Cercatela, se vi capita. Via Acireale, Siracusa.